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Elezioni e Twitter: tanti slogan poco social

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Nella campagna elettorale più social che si sia mai vista in Italia qualcuno fa anche il verso al famoso “Vota Antonio!” di Totò. E al posto dell’imbuto, impugnato sul balcone di casa dall’onorevole La Trippa, usa Twitter con tanto di hashtag #votantonio per intercettare in Rete gli elettori.

I politici in cerca di voti hanno praticamente tutti un profilo social. Per gli aspiranti consiglieri regionali, come per i candidati premier, Facebook e soprattutto Twitter sono diventati d’obbligo. Ma una rapida panoramica dei cinguettii di partiti e politici rivela che i tweet, nella migliore delle ipotesi, funzionano come micro take di agenzia fatti in proprio o, nella peggiore, come  spam, versione digitale delle affissioni a tappeto dei manifesti elettorali.

L’antologia di esempi dell’uso diffuso di Twitter come una No-reply Email è esteso. E senza entrare nel merito degli orientamenti politici dei singoli, sono pochi i candidati che utilizzano il microblog per dialogare con utenti-elettori.

IL TOTO PREMIER SECONDO TWITTER

Mario Monti è salito in politica con un tweet. Ma circa un mese dopo, ospite alle Invasioni Barbariche, ha manifestato con imbarazzo e ironia la sua ignoranza in materia, ammettendo di delegare a un apposito staff  (ST nei tweet) il compito di gestire @SenatoreMonti.

Silvio Berlusconi ha annunciato con enfasi @berlusconi2013 e i suoi “volontari digitali”, ma l’account elettorale del leader Pdl (accusato di aver guadagnato troppi follower in poco tempo) è finito quasi subito ai margini di una strategia di comunicazione ancorata saldamente alla tv.

Pierluigi Bersani ha reclamizzato poco il suo profilo ufficiale, ma può vantare quasi il quadruplo di follower dell’eterno rivale Berlusconi. Allo slogan “L’Italia giusta” affianca l’handle “sbagliato” @pbersani, e per lo più informa sugli appuntamenti in agenda e riporta dichiarazioni.

In Rete ci sono diverse applicazioni che fotografano l’attività dei leader sul microblog (la più visitata è la Twitter square di Repubblica): offrono uno spaccato ridotto ma singolare della campagna elettorale e spunti di riflessioni utili a comprendere cosa rappresentino i social per i politici italiani.

DAL CLICKTIVISMO AGLI OBAMA ITALIANI

Beppe Grillo è il premier dei follower. E il fatto non stupisce. Il Movimento 5 Stelle è nato attorno al suo blog e usa Rete e social come terreno per l’engagement politico evitando i canali di comunicazione tradizionali. Il comico-politico è una sorta di abile paria digitale. In attesa della verifica sul campo della politica reale (sostanziale e procedurale), gli va riconosciuto il merito di aver infranto il muro del clicktivismo: fatta eccezione per il M5S, movimenti o associazioni seguitissimi sul web sono ancora incapaci di portare nelle piazze reali i fan ottenuti in quelle virtuali.

Matteo Renzi è l’altro leader politico italiano noto per essere più che avvezzo alla rete, talmente digital da venire addirittura accusato di essere “teleguidato” via iPhone. Usa molto i social (per le primarie del PD come per i Big Bang della Leopolda) e con @matteorenzi commenta la Fiorentina e la politica, parla da sindaco e usa #sapevatelo.  Il web 2.0 lo ha portato anche in Comune aprendo una sezione Open Data e un account Twitter (10.681 follower) che cinguetta un po’ di tutto, dalle delibere di giunta al menù del giorno nelle scuole della città.

Renzi contende a Grillo il titolo di politico digitale italiano, ma entrambi sono ancora lontani dal campione mondiale della specialità, paradigma di leader e peones impegnati anche online nella campagna elettorale: Barack Obama.

Per la sua campagna elettorale l’inquilino della Casa Bianca ha potuto contare su un dream team con tanto di social media strategists e web designers, sulla Cave abitata da 50 analisti digitali, sui sociologi del Victory Lab e su un esercito di sostenitori organizzati tra telefono, pc e strade. Dal sito ufficiale alla app per guidare i porta a porta sino al profilo su MySpace, il primo cittadino americano marca una chiara differenza con i politici italiani. Obama non usa i social media, è un social network. Che vive di follower e soprattutto Big Data.

LA POLITICA DEI BIG DATA

Twitter rappresenta un punto di vista parziale sul vasto mondo dei social network ma è il più frequentato dai politici italiani e questo lo rende significativo per chi vuole comprendere limiti e segreti della cosiddetta democrazia digitale che (forse) verrà.

Anche se la stragrande maggioranza dei candidati nostrani lo usa in modo artigianale, Twitter è comunque un tesoro di informazioni che rivela sui politici e ai politici molto di più di quello che loro stessi si attendono dai social media.

La parola chiave è Big Data, l’immane aggregato di dati che popolano la rete dal quale è possibile estrarre informazioni sul mainstream degli utenti del mondo digitale. In Italia un primo vero esperimento di analisi di questo patrimonio di dati in chiave elettorale lo sta offrendo La Stampa attraverso voto2013. Si tratta di uno strumento che, utilizzando la teoria delle reti complesse per analizzare i Big Data, permette di estrapolare una serie di informazioni quantitative e qualitative sulla discussione politica all’interno dei social media.

In sostanza, vengono analizzati i flussi di informazioni e i contenuti che i cittadini si scambiano sui network digitali cercando di trovarne le chiavi di lettura. In sintesi, poco importa cosa dicono i politici in rete quanto piuttosto cosa dice la rete dei politici e della politica.

Barack Obama ha costruito la sua fortuna elettorale su questo tesoro di informazioni. La politica italiana è per lo più ancora alle prese con la febbre dei RT. Di strada da fare quindi ce n’è ancora molta. Ma in attesa di approdare a Big Data si può cominciare anche da semplici accorgimenti di netiquette.  E per quasi tutti i candidati nostrani, paradossalmente, vale ancora il noto consiglio di Jay Baer: “Focus on how to be social, not on how to do social”.

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