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Chief digital officer. Conta il fattore C?

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CDO business meeting

La professione del CDO rischia di rimanere nell’ombra se la si lega esclusivamente al livello di Chief che risponde direttamente al CEO. Un appello alla community informale dei digital officer

“Keep calm and go digital”. Tra le tante riedizioni online dello storico poster britannico del ’39 questa è l’unica che invece di farmi sorridere pensando a situazioni o persone mi ha fatto riflettere sul lavoro. Perché è la versione che meglio traduce il “Mantieni la calma e vai avanti” nello specifico del mio mestiere.

Il dibattito sul futuro digitale delle aziende è molto vivo in rete e ho portato il mio contributo pubblicando su questo blog diversi post sul Chief digital officer. Ne è nata una discussione che non immaginavo così ricca e ho inziato a ragionare con amici e colleghi anche in modo più ordinato per cominciare a capire lo stato dell’arte (digitale) nelle aziende italiane, le esperienze in altri Paesi, i settori (tutti) coinvolti a vario titolo dalla rivoluzione tecnologica e culturale portata nel business dall’informatica prima e dalla digitalizzazione poi. Mi sono ritrovato immerso in una sorta di formazione permanente con continui spunti e altrettanti interrogativi.

Il Chief Digital Officer è una risposta alla rivoluzione in corso, ma non la risposta. Nel dialogo con chi fa il mio mestiere questa consapevolezza è emersa in modo chiaro. Se negli Stati Uniti, ma anche a livello di Unione europea, il CDO è considerato come il tassello mancante nel nuovo scenario di business delle aziende, in Italia i tempi sono maturi per un salto di qualità culturale ma permangono alcuni ostacoli che rallentano la corsa.

Quanto conta il fattore C? È la domanda che ironicamente mi ha fatto un collega con il quale parlavo della mia ‘fissa’ per il CDO. E per fattore C intendeva la prima lettera dell’acronimo: quanto pesa cioè il fatto che il digital officer debba essere un Chief? Ad oggi tanto, forse più di quanto dovrebbe. E in questo emerge proprio il sommovimento culturale innescato nelle aziende dalla rivoluzione digitale che chiede nuovi paradigmi ed equilibri, ma soprattutto spariglia le carte in tavola.

Il digitale si è imposto in tanti mondi professionali diversi, dal marketing, all’ICT, alla comunicazione tout court. E li costringe a non concepirsi più come realtà a sé stanti, collegate quel che basta per non intralciarsi a vicenda. Oggi processi, campagne di comunicazione ma anche singoli prodotti e servizi sono legati a doppio filo con il digitale perché ne hanno bisogno per essere  – basta pensare all’hardware tecnologico-  e anche per esistere – i dati sono il patrimonio strategico di ogni attività.

Liberarsi della zavorra che il ruolo di Chief può rappresentare per lo sviluppo di una figura come il CDO è forse la modalità migliore per dare spazio di crescita a una professione che le aziende cercano anche senza sapere bene quale nome dargli. Del resto una multinazionale come McDonald’s ha nominato Atif Rafiq come suo primo CDO mettendolo alle dirette dipendenze del marketing e non del CEO. Perché ogni azienda ha bisogno di governare il fattore digitale, ma per farlo deve riuscire a trovare la sua strada.

Il Digital Officer è un business-driven leaders anche senza appartenere al più alto C-level. Consapevole di questo, per dare credito alla community spontanea che ho trovato cominciando a scrivere di CDO, rilancio il dibattito e alzo la posta: credo possa essere utile individuare una piattaforma di confronto, sui contenuti, le attività e, soprattutto, sulle problematiche che ciascuno si trova ad affrontare all’interno e all’esterno dell’azienda. Il tema interessa molti, quindi credo che sia importante catalizzare interessi e spunti utili al confronto.

L’idea è semplice: dare vita a un club informale di CDO per i quali la professione conta più del fattore C. Chiunque sia interessato può contattarmi attraverso questo blog o dal mio profilo Linkedin. La discussione è aperta!

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