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Aziende e consumatori: la comunicazione sui social media ha dei limiti

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Ad oggi, non stupisce che la maggior parte delle aziende attente alla comunicazione e dotate di una certa “sensibilità social” siano attente a ciò che si dice di loro online, ma se gli utenti parlano liberamente online delle aziende, è opportuno che queste ultime parlino altrettanto liberamente con gli utenti? Forse no.

Secondo uno studio condotto da J.D. Power & Associates per conto di NetBase (con la collaborazione di eMarketer), i 2/3 degli intervistati ritengono che sia opportuno che le aziende comunichino direttamente con i consumatori solo nel caso in cui siano stati prima questi ultimi ad aver interagito in maniera diretta col brand (ad esempio sulla pagina Facebook o l’account Twitter). Ma c’è di più.
Tra il 40 e il 57 per cento degli intervistati, a seconda della fascia di età, ritiene che i consumatori debbano poter parlare di un brand online senza che questo sia necessariamente “in ascolto” su tutto.

Alla base di questa osservazione, emerge che il problema principale dei consumatori è la paura per la propria privacy, privacy che di fatto non esiste, come afferma infatti il co-fondatore di Google Eric Schmidt: “Se volete la privacy, non andate su internet”.

Il 72% degli utenti americani tra i 45 e i 54 anni, è consapevole del fatto che le aziende siano in costante ascolto su ciò che viene detto di loro sul web, ne sono invece meno consapevoli gli utenti tra i 18 e i 24 anni, ma la percentuale rimane comunque alta con 3 utenti su 5.

La maggior parte degli intervistati in tutte le fasce di età, inoltre, ha dichiarato di apprezzare il fatto che le aziende leggano tutte le conversazioni online in cui si parla di loro, fa eccezione solo la fascia degli over 55, che invece non è dello stesso avviso.

 

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